Si dice Arancina o Arancino? È la diatriba che da anni divide la Sicilia tra Palermo, rigorosamente al femminile, e la zona orientale (Catania in testa) che lo declina al maschile. L’Accademia della Crusca che ha risposto alle migliaia di richieste pervenute rispondendo che sono da considerarsi valide entrambe le forme.

Vi pare assurdo che l’Accademia della Crusca debba occuparsi di queste cose tipo l’arancina? Beh, a quanto pare è questione ritenuta fondamentale da molti. Queste le parole di Stefania Iannizzotto, «Quando sono arrivata all’Accademia della Crusca, cinque anni fa, è stata una delle prime cose che mi sono state chieste. Dirimere la questione se si chiamino arancini o arancine. Mi sono sempre rifiutata: troppa partecipazione emotiva,troppi schieramenti. E io poi sono siciliana, di Ragusa, chi l’avrebbe spiegato ai miei amici?»

«Dalle mie parti, nel Ragusano, l’arancina è femmina – commenta la studiosa – Ma dal 1995 al 2009 ho vissuto nel capoluogo etneo e mi sono dovuta adattare al maschile. Altrimenti per me sarebbe stata la morte sociale».

Dalla consultazione con un dialettologo palermitano, Roberto Sottile, e uno catanese, Salvatore Trovato, «è stato possibile ricostruire parte della storia».

Le prime attestazioni sull’ arancina riguardanti polpette di riso ripiene sono della seconda metà dell’Ottocento. «Tradizionalmente si sente dire che si tratta di una pietanza di origine araba, poiché loro avevano l’abitudine di riempirsi il palmo delle mani di riso, compattarlo, inserire un ripieno e mangiarlo così – spiega Stefania Iannizzotto -. La scoperta interessante è stata rilevare che gli arabi chiamavano tutte le polpettine che facevano con nomi di frutti, indipendentemente dal loro ripieno. In Sicilia, storicamente ricca di arance, il frutto di riferimento veniva da sé. In Trentino le avrebbero chiamate come le mele, in Toscana come le ciliege».

Nel 1857 a citare l’arancinu, maschio, è Giuseppe Biundi, nel dizionario Siciliano-Italiano. È la prima circostanza in cui alla pietanza viene associato un nome. Non si tratta, però, di un piatto salato, bensì di un dolce. Per l’attestazione di una polpetta salata bisogna attendere qualche altra decina di anni. «C’è poi un altro fattore da considerare.

È possibile che il nome non derivi solo dal frutto, ma anche dal colore. Perché la prima volta che appare la parola arancinu indica l’arancione». Fino a questo punto, però, tutto darebbe ragione alla versione che vuole il supplì di riso in salsa sicula finire con la -o. E, per i catanesi, essere indubbiamente etneo. «Non trovavo attestazioni al femminile da nessuna parte prima del Novecento, sbattevo la testa e cercavo di più», racconta l’accademica. «Era maschile anche a Palermo», dice. Ma è solo il preludio a un colpo di scena.

In altri termini: il dialetto vuole che il frutto si chiami aranciu, da cui l’arancinu che ci somiglia. In italiano, però, il frutto è pur sempre l’arancia, da cui l’arancina. «Una forma percepita come più giusta. Le grandi città e i centri urbani sono più attenti alle novità linguistiche, anche per una questione di prestigio. Palermo accetta i cambiamenti linguistici più velocemente, quindi ha recepito le versione italianizzata».

Il risultato è che non c’è una versione più giusta dell’altra: semplicemente il maschile è dialetto, il femminile è italiano.

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